venerdì 28 marzo 2008

Tutto quel che fa spettacolo

La Repubblica
Tutto quel che fa spettacolo

“Per il giornalista tutto ciò che è probabile è vero”
Honoré deBalzac 1843

Linguaggio spettacolare e urlato, titolazione forte e “nera”, collocazione delle notizie in base al principio della “vendibilità”, immagini, intere pagine dedicate ogni giorno allo stesso argomento per creare il “caso”, la “storia”, di cui si seguono le vicende per intere settimane, con anticipazioni, retroscena, opinioni, commenti, descrizioni e analisi. E’ in questo modo che, nel periodo analizzato, il quotidiano la Repubblica ha affrontato la lunga vigilia della guerra irachena o, meglio, il problema delle cause di quel conflitto. Ben 61 articoli in un mese, per un susseguirsi di accuse, minacce, giustificazioni e quant’altro che hanno visto protagonisti Usa, Inghilterra, Onu, Iraq, Francia, Germania, politici e rappresentanti della società civile.

“Cosa volete aspettare? Che Saddam usi l’atomica?””affermava George W. Bush il 13 settembre alle Nazioni unite. “Non possiamo permettere che il peggior leader del mondo minacci la nostra sopravvivenza con le armi più micidiali”, ribadiva ancora il 24 settembre. Gli faceva eco il premier britannico Tony Blair: “Saddam può scatenare un attacco con armi chimiche in 45 minuti, ha i missili, prepara l’atomica: dobbiamo fermalo”. Rispondevano alle accuse, nelle poche righe a loro concesse (in media tra le 5 e le 10 su articoli di oltre 120), Al Berkdar, della Commissione irachena per l’energia atomica, e il vice primo ministro Tareq Aziz: “..ci occupiamo di ogni possibile ricerca, ma non in campo nucleare. Non disponiamo ormai più di impianti, impossibile per noi lavorare con materiali nucleari” e, ancora: “la verità è che Bush vuole il petrolio iracheno. Dove sono i materiali con cui l’Iraq vorrebbe costruire la bomba atomica? Dove sono le prove?”.

Già, quali sono le prove? Difficile farsi un’opinione in proposito.
Gli articoli pubblicati dalla Repubblica sul tema dei fattori esplicativi del caso Iraq non riportano informazioni relative all’effettiva individuazione – diretta o indiretta - delle fatidiche armi di distruzione di massa e spesso (93,4%) non sono sostenuti da alcun dato numerico. Le fonti, poi, sono assenti in oltre il 90% degli articoli (che in questo senso parlano di “voci”) e, quando citate, non risultano sempre attendibili: l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, un esiliato iracheno o un certo Yusuf, ex guardia del corpo di Saddam.
D’altro canto, a questa carenza di dati e di fonti certe e autorevoli che sostengono il possesso da parte di Saddam di armi di distruzione di massa si contrappone il tono di assoluta certezza con cui si afferma la sua “colpevolezza”. Tono che sì, appartiene a Bush, Blair e agli uomini dei loro governi, ma che viene riportato in oltre il 70% degli articoli. Il fatto è che a queste notizie viene spesso concessa una prima pagina, con tanto di titolo sensazionalistico - e basti dire che in oltre il 10% degli articoli non c’è nessuna coerenza tra il titolo e il testo dell’articolo (dato significativo se confrontato con quello degli altri giornali).

Quando invece, come nel 24,6% dei casi, ad essere interrogati sono degli esperti, emerge principalmente l’idea che l’Iraq non possieda armi di distruzione di massa. Così è, ad esempio, leggendo le parole dell’ex ispettore dell’Onu Scott Ritter, “l’Iraq è quasi completamente disarmato dal 1998. Nel corso delle nostre ispezioni, abbiamo verificato l’eliminazione del 90/95 per cento delle armi di distruzione di massa dell’Iraq. Se l’Iraq stesse producendo armi oggi, grazie ai satelliti e altri mezzi, noi ne avremmo prove inconfutabili” (21 settembre). Analoga la tesi sostenuta da Bhupendra Jasani, esperto di monitoraggio via satellite: “Per arricchire l’uranio bisogna raffreddare le centrifughe con grandi quantità di acqua, che poi va scaricata ancora calda ed è facile saperlo dalle immagini a infrarosso dei satelliti” (26 settembre).

Il punto è che a queste notizie - provenienti, dunque, da fonti autorevoli e documentate - non vengono dedicati titoli di apertura o interi articoli di approfondimento, ma bensì solo poche righe e questo avviene anche quando è lo stesso capo degli ispettori Onu, Hans Blix, ad escludere la possibilità che gli iracheni dispongano di armi atomiche (16 settembre),
Poche righe, certo, perché se la necessità è quella di vendere copie, servono titoli quanto mai inquietanti e ogni altro stratagemma in grado di catturare una superficiale attenzione.
Ecco allora le spettacolari anticipazioni, come quelle che hanno preceduto il tanto atteso dossier di Downing Street che avrebbe dovuto fornire le prove inoppugnabili del possesso da parte dell’Iraq di armi chimiche e biologiche e del tentativo di acquisire armi nucleari.
Il giornale, nonostante il dossier debba essere presentato ai Comuni il 24 settembre, inizia a dargli ampio spazio già dal 13 settembre e, anzi, forse dà più spazio al dossier prima della sua pubblicazione che dopo. Lo fa, con un titolo ad effetto, in prima pagina, il 16 settembre. “Il dossier di Blair: “costruisce l’atomica””, ma nel testo poi si parla solo di voci concernenti “trattative con la Corea del Nord per l’acquisto di barre di plutonio che consentirebbero all’Iraq di arrivare all’atomica in pochi mesi”. Ancora il 16 settembre, ancora in prima pagina, c’è spazio per torbidi retroscena: “Ecco i legami tra Iraq e Al-Qaeda”. La notizia è ripresa all’interno con il titolo: “L’Iraq alleato di Al-Qaeda”, ma anche questa volta ci sono solo supposizioni e nessuna prova. Proseguono, invece, le anticipazioni. Così il 23 settembre il titolo di apertura della pagina è: “Blair: “Saddam ha armi chimiche”, la notizia però viene smentita nel testo che afferma: “il documento d’accusa che Downing Street presenterà domani è lungo e dettagliato, ma non contiene una prova decisiva, non fissa un collegamento fra Iraq e Al-Qaeda, non dice quali e quante armi segrete ha Saddam Hussein”.

Il dossier di Blair viene finalmente reso pubblico e il 25 settembre la Repubblica in prima pagina titola: “Blair, le prove su Saddam”, in sesta pagina “Così Saddam ci minaccia” e, ancora, in settima, “Missili, gas, agenti biologici e in due anni anche l’atomica”. Se e quando, poi, andremo a leggere gli articoli ci accorgeremo che fatti nuovi non ci sono e che i pochi dati presenti sono quelli del 1998. Del resto, il giorno seguente (26 settembre) nuovi titoli ci informano che “Il dossier di Blair non convince”. Si legge nell’articolo - sfortunatamente pubblicato in quinta pagina e non in prima - che “quanto alla bomba atomica, il dossier paradossalmente dimostra l’efficacia delle sanzioni e dell’embargo in vigore nell’impedire a Saddam di mettere le mani sulla tecnologia nucleare”.

Le certezze del lettore, come la sua attenzione, comincerebbero allora ad assottigliarsi, ma il titolo di un nuovo articolo (27 settembre) lo allerta prontamente: “Saddam aiuta Al-Qaeda. Bush annuncia nuove prove”. Ecco di nuovo l’anteprima, l’anticipazione e, dunque, l’invito a seguire e a non perdere la puntata successiva che questi titoli, come fossero veri e propri spot pubblicitari, annunciano essere quanto mai allarmante e inquietante, ma anche decisiva e chiarificatrice.

Nonostante le aspettative create, la Repubblica non fornirà nel corso del mese alcun fatto inedito, non produrrà nessuna inchiesta giornalistica. Dopo un mese di lettura di ogni articolo pubblicato dal quotidiano sul problema dei fattori esplicativi della guerra in Iraq, la nostra rimane un’informazione lacunosa, ridondante quantitativamente, ma esigua qualitativamente. La stragrande maggioranza degli articoli (81,9%) ha avuto per oggetto il problema della presenza o meno delle armi di distruzione di massa, solamente il 10%, invece, ha affrontato il tema della questione petrolifera e degli interessi economici connessi al conflitto; praticamente assente la contestualizzazione del problema nell’ambito della rivalità economica tra Unione europea e Stati uniti.
A fronte di questa parzialità d’informazione, si deve dire che il dato – forse per questo ancor più allarmante – è che si ha l’impressione di non trovarsi davanti ad una faziosità partigiana quanto piuttosto a una abdicazione della funzione culturale dinanzi alle esigenze commerciali. Il quotidiano, infatti, non sembra orientato a promuovere il punto di vista di una parte in campo e, non a caso, la qualità degli articoli cresce notevolmente quando si passa dai reportage, dai redazionali ai commenti e agli editoriali.

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