venerdì 28 marzo 2008

giacche’ sono un cialtrone

beccatevi anche questo

Il bilancio del Governo. Un lungo spot tv: Berlusconi lava più bianco
di Marcella Ciarnelli

Va in onda il paese di Bengodi. In diretta su Raiuno. Pomeriggio in tv
con il presidente del Consiglio che ha intrattenuto per due ore gli
italiani. Un lungo, interminabile spot all’insegna dell’ottimismo a
tutti i costi «perché chi governa ha il dovere di esserlo».Parola del
premier mediatico. Anche a dispetto della realtà che è sotto gli occhi
di tutti. Impegni a piene mani profusi per far capire agli italiani
come sono fortunati ad avere un governo che pensa a tutti i loro
bisogni e gli sta trasformando la vita. Senza che gli ingrati se ne
rendano conto. Se è vero, come affermano autorevoli sondaggi, che la
popolarità del premier è in calo e che l’evocato ottimismo non
accompagna il passaggio verso il 2003 che ci accingiamo a vivere. Nè
rafforza il bilancio dell’anno che se ne va.
Ma Berlusconi non ci sta. E contesta i dati che poco gli convengono.
Non importa che a produrli siano stati autorevoli istituti di sondaggi
che a lui piacciono colo quando gli danno ragione. «Abacus e Ispo?
hanno sbagliato tutte le ultime previsioni» dichiara il premier. Come
si può fare a credergli. E poi, via, non può essere che un premier che
partiva dal 50 per cento ora sia sceso al 29. Ce li ha lui i sondaggi
veri, quelli che lo vedono ancora al 52 per cento «secondo in Europa
solo al francese Raffarin. Un dato che mi tranquillizza e che ho modo
di verificare giornalmente con l’accoglienza che ricevo durante i miei
viaggi. Quando vado in giro faccio fatica a divincolarmi dalle
attenzioni positive che la gente mi manifesta e che mi danno anche
entusiasmo, forza, volontà per andare avanti. Quando sono stato di
recente a Santa Venerina qualcuno ha detto che soltanto per certi
santi si verificano situazioni come quella». I fischi e le grida
«mafioso, mafioso» ricevuti poco dopo davanti al comune di Catania
ovviamente non rientrano nelle manifestazioni da ricordare nel giorno
del grande bilancio. Tutto rose e fiori.
L’elenco delle cose fatte dal governo è interminabile. E, anche per
questo, poco credibile. Di qualunque cosa si parli, o è già arrivata
in porto, o in cantiere, o si farà molto prima del previsto. Nel paese
senza problemi la voce discordante è quella dell’opposizione. Che
continua a vedere la realtà esattamente all’opposto di come Berlusconi
la descrive. Lui afferma che per la Fiat il governo ha fatto tutto il
possibile e anche di più mentre il segretario dei Ds, da Termini
Imerese, avanza critiche sul ruolo puramente notarile nella vicenda
che coinvolge il maggior gruppo automobilistico italiano. Sprezzante
la replica: «Mi preoccupa la magrezza di Fassino al punto che ho
pensato di regalargli un panettone. Mangiare poco porta ad
affermazioni che non sono in linea con la realtà». Parla di riforme il
premier. Apre all’opposizione sulla linea dettata da Ciampi. Ma poi
non può fare a meno di attaccare D’Alema che «non è stato eletto dai
cittadini ma è arrivato a guidare il governo per un intrigo di
Palazzo». Affronta il tema grandi opere, uno dei fiori all’occhiello
di cui si fa più vanto. Peccato che ancora una volta non ne può citare
neanche una che sia giò partita o che sia stata per lo meno
finanziata. Tutto quello di cui parla è sulla carta, nella sua testa,
o è stato avviato dal centrosinistra. Ma le promesse non costano
nulla. Ed allora lui ribadisce l’impegno: «Il ponte sullo stretto di
Messina si farà perché è la vera arma contro la mafia».
La lunga introduzione. Le risposte alle domande dei giornalisti. Due
ore e più (dalle 20 in poi la diretta è passata su Raidue) degne del
miglior illusionista. Toccati tutti i temi sul tappeto. Dal caro vita
conseguente all’introduzione dell’euro di cui il presidente Prodi ha
incolpato i governi e che Berlusconi vuole risolvere rimettendo i
pressi in lire affianco di quelli con la nuova moneta, incurante
dell’imbarazzante salto all’indietro che farebbe fare al paese.
D’altra parte «anche la mia mamma ancora converte gli euro in lire e
poi risparmia». E se lo fa la signora Bossi in Berlusconi qualcosa
vorrà pure dire. E la questione dell’articolo 18 che sembrava un punto
fermo del governo. Uno su cui non cedere. Ed invece, pur di evitarsi
grane, il premier lo liquida con un pragmatico: «Se non lo vogliono
toccare non se ne fa nulla». Mentre sulla riforma delle pensioni «sarà
l’Europa che ci imporrà di prendere delle decisioni».
Capitolo riforme. Anche su questo grande disponibilità da fine anno
quando tutti fanno buoni propositi. Pronti a rimangiarseli il 2
gennaio. L’opposizione è attesa al varco. Assieme si può fare. Lui
vorrebbe, è noto il presidenzialismo, ma se poi dovesse prevalere la
tesi del premierato, meglio quello che niente. L’importante è che il
prossimo presidente della repubblica (che vorrebbe essere lui) abbia
più poteri. Il modello è Chirac, uno che può dire di contare
veramente. Per il momento, comunque, meglio confermare i buoni
rapporti con Ciampi che potrebbe anche arrabbiarsi per il benservito
che ogni tanto gli arriva travestito da riforma.
Ma la riforma che tocca più da vicino il premier è quella della
giustizia. Rimanda al mittente l’accusa di aver dato una corsia
preferenziale alle leggi che lo riguardavano da vicino. Cosa che non è
avvenuta per il conflitto d’interessi «che ho invitato Casini a
calendarizzare» come se non fossero passati due anni. E la butta sul
patetico. «Voglio che la giustizia cambia perché a nessuno deve
capitare quello che è accaduto a me». Elenca i numero della
“persecuzione” subita: «83 procedimenti, 1530 udienze processuali, 570
visite della finanza e della polizia giudiziaria in sue aziende ed a
suoi collaboratori». A parte che a quelle udienze lui non ha
partecipato, una per tutte basti ricordare il «mi avvalgo della
facoltà di rispondere» con il quale ha accolto di recente a Palazzo
Chigi i magistrati di Palermo, come si fa ad affermare che si è
trattato solo di persecuzione davanti a questi numeri? Per lui è così.
«Un accanimento che non si riscontra contro nessuna altro in Italia e
in nessun altro stato democratico». E se anche nei condoni che sono
nella Finanziaria qualcuno ha intravisto un interesse diretto del
premier, pure questa è notizia da smentire. «Nessuna delle mie aziende
ne usufruirà» afferma il premier deciso. Per la Fiat fa capire che i
giochi sono di nuovo aperti e che una cordata italian potrebbe
contribuire al rilancio anche se preferisce non commentare un’ipotesi
che vedrebbe coinvolto Colaninno. Sulla partecipazione dell’Italia ad
un eventuale conflitto in Iraq conferma che sarà il Parlamento a
decidere anche se dire di no a Bush sarà difficile. Meglio aspettare
ed augurarsi che la guerra non ci sia. Quella sì non piace a nessuno.
E poi è impopolare. E se i dati sono quelli…
Finisce il premier, arrivano i commenti dell’opposizione. «Una
minestra riscaldata ed andata a male» dice Francesco Rutelli. «È stato
un cabaret, peccato che Berlusconi abbia sbagliato mestiere, sarebbe
stato un grande artista» ha detto Vannino Chiti, il coordinatore della
segreteria Ds. Per Fausto Bertinotti «dietro la facciata
dell’ottimismo, dietro la cornice propagandistica, c’è uno smarrimento
impressionante di ogni capacità di analisi».

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